Buona estate! (te lo dico anche se hai ancora davanti qualche colloquio e gli scrutini… mi auguro perlomeno che il tutto si svolga in un seminterrato della scuola!)
Io mi sto gustando il mio tempo dell’indugio (secondo le regole e le aspettative che ti raccontavo qui); un tempo molto semplice, fatto di risvegli lenti - inaspettati, per un’allodola come me - del verde del mio giardino e soprattutto di tante, tante parole. Parole da cesellare, come faccio qui, ma soprattutto da ammirare. Parole di altri, che riescano a suscitare in me domande impreviste o bagliori di nuove idee. So che capisci di che cosa parlo.
Un progetto che non vedevo l’ora di poter riprendere in mano è quello della stesura del mio libro. Se hai letto la mia ultima lettera - quella speciale - avrai visto che il mio ‘regalo’, quando raggiungerai il secondo traguardo, sarà il testo che considero la bozza di quel volume.
Il tema della valutazione è uno degli snodi cruciali della nostra professione, eppure mi sembra che - complici gli esiti della pandemia ma soprattutto una nuova ed estesa consapevolezza riguardo alla questione del ‘successo formativo’ - esso sia da porre in modo ancor più deciso sotto indagine.
E poiché credo fermamente nella revisione tra pari e nel lavoro collaborativo (questo progetto al quale sei iscritto ne sono la prova), mi piacerebbe se volessi dirmi la tua, quando lo avrai letto
Uno dei temi che voglio approfondire, all’interno dell’opera, ricollegandolo ad esperienze didattiche mie e di altri, è quello della capacità dello studente di raccontarsi. Se mi leggi da un po’, osserverai che questo è davvero uno dei miei ‘cavalli di battaglia’, uno dei fulcri attorno ai quali ruota da anni la mia ricerca. Finora mi sono concentrata sul racconto di sé e quindi ho esplorato le possibilità didattiche di una pedagogia che miri alla consapevolezza identitaria (vedi i progetti sull’orientamento che ho avviato). Circumnavigando il concetto, tuttavia, mi sono accorta che esso possa avere più di una attinenza anche con l’area della valutazione; ho perciò deciso di dare il via ad una nuova declinazione di ricerca attraverso quel lavoro preliminare al quale facevo riferimento.
Patrizia Arcadi, una splendida professionista che mi accompagna da parecchi mesi nella messa a fuoco della mia identità lavorativa, mi aveva fatto notare come non fosse del tutto peregrina la mia oscillazione tra orientamento e valutazione. Entrambe le dinamiche, infatti, si riferiscono al valore che ritengo sia quello fondamentale nella relazione educativa: il concetto di relazione, appunto. Penso che abbiamo tutti bisogno - insegnanti e non, famiglie e singoli - di ragionare del sistema di istruzione e formazione come di un luogo nel quale una relazione umana possa fiorire, e generare quindi le gradite conseguenze chiamate apprendimento e fiducia nella scuola.
Perché la capacità di raccontarsi dovrebbe essere coinvolta nel discorso sulla valutazione, nella nostra epoca post-moderna?
Mi rifaccio a due pensatori che considero due maestri e dei quali molto spesso ho scritto (e come sono felice quando qualcuno mi dice che li ha conosciuti grazie a me!): Paul Ricoeur e Edgar Morin. Penso che soprattutto del primo, la dialettica - la ‘poetica’ possiamo dire - si rifletta in modo immediato nel discorso sulla valutazione. Ed è anche la via, questa, attraverso la quale sono giunta ad enucleare la portata del binomio orientamento-valutazione.
Nella filosofia di Ricoeur, infatti, il riconoscere se stessi passa da tre tempi successivi: la capacità di dire, la capacità di agire ed infine la capacità di raccontarsi. L’argomentazione di Ricoeur - alla cui opera ti rimando, se il tema può interessarti - parte da molto lontano: dagli eroi omerici e della tragedia classica, che incessantemente parlano del loro agire.
Parola e azione si trovano quindi riunite all’origine dell’essere uomini.
[bando alla sindrome dell’impostore e ti dirò, a questo punto, che lo specchio parola-azione è stato infatti il tema del mio altro libro…!]
Del resto, il filosofo J.L. Austin ci ricorda che
“parlare equivale a fare delle cose con le parole”
Non voglio appesantire ulteriormente la tua mattina (sì, è vero, io andrei avanti per ore a scriverne!), però voglio lasciarti con quest’ultima riflessione: riconoscere le opere dei nostri studenti - e quindi valutarle - non inizia proprio dall’insegnar loro a crearle come sequenza di parole o di azioni? Dentro a questo accompagnarli non vi è forse già l’enorme valore del pensiero riflessivo e dell’argomentazione?
Buona settimana e buoni pensieri ♧
(come sempre, se vuoi condividere le tue riflessioni con me, io ti leggo!)
Simona