Buongiorno ✰
L’appuntamento di oggi appartiene alla sezione Cosmografie.
Come sempre, ti ringrazio per accogliermi nella tua casella di posta e per dedicarmi qualche minuto della tua attenzione.
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«La maggior parte di quello che sappiamo e crediamo ci è stata insegnata da altri per mezzo di una lingua che altri hanno creato»
(A. Einstein)
Non è così banale, l’osservazione di Einstein. Soprattutto non lo è per chiunque si occupi di comunicare un concetto ad uno o più interlocutori… banale non lo è, perciò, per ognuno di noi!
L’ho già raccontato molte volte, in diversi luoghi: la più grande delle epifanie professionali che ho vissuto (e che ha scombinato le carte di una visione che avrebbe anche potuto assestarsi sui tranquilli binari del “si è sempre fatto così”) mi colse quando intuii la necessità di partire sempre dalle fondamenta del linguaggio, persino nella didattica di discipline come quelle scientifiche.
Le scelte di ricerca - ed anche di vita, perché il secondo percorso di laurea ebbe ben poco a che spartire con il primo! - che ho compiuto a partire da quel momento, che si situa molto precocemente nel tempo della mia attività di insegnante, hanno quindi irraggiato i molteplici ambiti nei quali posso rinvenirle: la didattica stretta delle discipline logico-scientifiche - certo - ma anche le riflessioni che ho avviato soprattutto sull’orientamento (perché linguaggio è, da un certo punto di vista, identità) e sull’uso dei manuali nella scuola secondaria.
Con Anna Aresi, che si occupa di multilinguismo da un altro punto di vista rispetto al mio, ne abbiamo parlato più volte [spero proprio, Anna, che vi sia modo di scrivere qualcosa insieme, prima o poi!].
Fino a che punto l’errore in ambito linguistico è ‘da correggere’, da parte dell’insegnante o del genitore?
Come posso io, quando presento in classe le frazioni o le equazioni, non farmi carico ANCHE delle modalità di inquadrarle nel proprio vissuto che uno studente cinese o uno anglofono possiedono?
Come posso non considerare mio, quel lavoro di scavo nelle profondità della lingua - e delle lingue di ognuno - quando essa si applica alla descrizione della realtà?
Ciò che ha consegnato alla mia vita quella epifania è stata la scoperta di quanto, in ciò che “diciamo delle cose”, convivano due tendenze assolutamente opposte: rigore e poesia. Chi abbia mai amato la matematica sa di che cosa sto parlando… (e chi non l’ha mai amata - cioè non l’ha mai capita! - potrebbe oggi ricredersi)
Invocando il rigore linguistico, noi chiediamo che una parola sia in grado di adagiarsi compiutamente sulla ‘cosa’; chiamando in causa la poesia, gridiamo l’urgenza che quel medesimo linguaggio sappia non farsi prigioniero della ‘cosa’ stessa.
Coerenza e flessibilità… è sempre la solita, vecchia storia.
La mappa di oggi, dunque, attraverserà i territori della matematica ma anche quelli della didattica dell’italiano.
Comprenderemo come ‘correggere’ la lingua possa essere, a volte, un’occasione mancata.
Se ti interessa, puoi seguirmi nelle prossime righe…
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