Questo che stai per leggere è il secondo appuntamento del percorso La responsabilità dell’educare, che iniziava qui:
Il titolo che ho voluto dare al viaggio che ti propongo oggi elenca quelle che, a mio avviso, sono le due dimensioni della tensione educativa. A monte di esse, come già ricordavo la scorsa settimana, vi è la cura (e non sarà mai ridondante sottolineare come essa sia la forza motrice di ogni relazione educativa).
Vorrei però sottolineare come, all’interno del complesso che definiamo educazione, le due dimensioni di cui sopra si integrino a vicenda, istante per istante. Le differenze che allora, con l’andare del tempo, percepiamo nel procedere di una qualsiasi relazione educativa saranno dovute al diverso ‘peso percentuale’ che ognuna di esse manifesta in quel preciso momento.
Per precisare ulteriormente la mia visione, in realtà dovrei riferirmi a due dimensioni (paura e speranza), che insieme danno luogo alla terza, quella globale, della responsabilità.
La cura agirebbe dunque come motore primo e un groviglio sfumato e confuso sarebbe il risultato della decisione di porsi su un piano di relazione con l’altro.
1. Perché la paura?
Ho utilizzato il termine ‘paura’ ma forse sarebbe più adeguato il suo affine e lievemente meno intenso: apprensione. Se ci pensi, sentirsi preoccupati (a volte persino in ansia oppure addirittura angosciati) per l’altro, con il quale siamo in relazione, è la voce che generalmente descrive il movimento dello spirito che ci fa percepire sull’altro piatto della stessa bilancia sulla quale egli si trova. È un sentire che sorge quando cessa l’indifferenza, quando appunto ci sentiamo coinvolti in un’impresa comune insieme all’altro. Studente, partner o figlio che sia.
Per quanto la nostra competenza come educatori o come professionisti dell’educazione possa non essere messa in dubbio, penso che non si abbia da temere una emozione nei confronti della quale ci sentiamo evidentemente fragili. Ma che è anche fonte di ogni azione di coraggio.
L’educazione non è terreno per pusillanimi.
Noi agiamo consapevolmente come educatori se accettiamo di guardare dritta negli occhi questa paura. Sappiamo benissimo che, a risultato raggiunto (o non raggiunto), dovremo porci nell’ottica di desiderare o di non desiderare di aver agito diversamente. “Con il senno di poi, avrei fatto/detto…” è un pensiero che denota l’adulto consapevole e responsabile.
Ecco perché, sopra, ho considerato fosse opportuno specificare quale accezione della paura io stessi considerando: non quel sentimento che distoglie dall’azione, ma quello che afferma pienamente l’esistenza della relazione.
Questa paura è il sentirsi responsabili in anticipo per un ignoto verso il quale ci stiamo muovendo: il prendersi carico di uno studente o di un figlio.
La responsabilità è un atto di coraggio.
2. Perché la speranza?
Qualsiasi azione umana prevede la speranza. Poiché non avrebbe senso agire se non presupponessimo una possibilità non nulla di ottenere ciò verso cui ci muoviamo. L’ampiezza della zona di contiguità tra quella che è speranza e quella che si è già tramutata in certezza dipende da molteplici condizioni al contorno, non ultimo l’effetto del caso o delle individuali fortune. Una certa sicurezza ed autorevolezza nel procedere professionale, una condizione mentale ed emotiva più o meno favorevole ed una posizione oppositiva o aperta da parte dei due protagonisti della relazione… ecco alcuni dei fattori che vanno poi a determinare le tempistiche del raggiungimento dell’effetto desiderato.
Possiamo definire in modo molto ampio tale effetto: “sa usare la consecutio temporum”; “rispetta le regole condivise”; “si assume il compito che gli è stato affidato e lo porta a termine” etc. Ogni nostra azione educativa mira al raggiungimento di uno scopo ben preciso.
L’oggetto della responsabilità suscita perciò apprensione in chi si appresti a considerarsi in relazione ad esso, ma anche genera la speranza di raggiungere lo scopo prefissato.
Sinceramente, riesco benissimo ad applicare tale modello sia al mio stare quotidiano in classe che alla più che ventennale azione da genitore.
Nella parte seguente della puntata odierna di questo nono percorso, cercherò di ‘chiudere il cerchio’, tornando al concetto di cura.
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