“Sempre alla porta ad attenderli senza mai però chiedere loro di ritornare”
Buon lunedì ♡
Leggi ancora insieme a me quella frase che ti ho inserito in citazione, tratta da Il segreto del figlio, di Massimo Recalcati (che io assolutamente amo, sia detto tra parentesi), e dimmi se non descrive esattamente, in modo netto e tranciante, il nostro essere educatori.
Sei insegnante? Genitore? Ti prendi cura di un bambino? Vivi una relazione con un/una partner? Sei in vacanza con il gruppo di amici del cuore?
Non esistono alternative: qualsiasi sia il tuo caso specifico, ti trovi all’interno di una relazione educativa. Poiché infatti - come ricordava un altro dei miei ‘personaggi del cuore’ (nella fattispecie, Aristotele) - non vi è modo di sfuggire alla nostra caratteristica di essere animali sociali (cioè parlanti, o meglio “in grado di discorrere”...).
[butto lì questa ‘bomba filosofica’ come se niente fosse, ma non credere che lo faccia a cuor leggero. Ci torneremo, lo prometto. E poi adesso fa troppo caldo!]
Ho generalizzato perché - a dispetto del titolo che ha questo mio Substack - la ragione che mi conduce a scrivere una volta alla settimana è il voler dimostrare i caratteri essenziali, fondanti, dell’educazione. Dell’educazione a tutto tondo, anche quella che si esercita al di fuori delle mura dell’aula.
Per ridarle valore? Può essere. Per scoprirci tutti sulla stessa barca? Anche.
Dunque… generalizzando… persino io e te abitiamo una relazione educativa. Nonostante la distanza, sia spaziale che temporale.
Torna quindi anche oggi il tema della distanza come prerequisito - e non ostacolo - delle relazioni efficaci. La scorsa settimana introducevo la questione in questi termini ⇓:
Mi allontano ancor più dall’insieme ristretto nel quale potremmo pensare esista una qualsiasi relazione educativa e immagino ciò che intercorre tra ogni individuo e l’autore del libro che egli sta leggendo. Un autore magari da secoli passato a miglior vita!
Perché oggi insisto così tanto sull’effettuare questo progressivo allontanamento a spirale dal binomio insegnante-studente?
Perché voglio portare alle estreme conseguenze la citazione di Recalcati: mentre leggo la Divina Commedia, posso realmente dire che Dante se ne stia “alla porta ad attendermi senza però mai chiedermi di ritornare”?
Qual è la radice profonda che accomuna i movimenti (reciproci) tra lettore e autore, tra l’insegnante e lo studente o tra un genitore e il figlio?
In virtù di che cosa essi sono (chiedo in prestito il linguaggio della dinamica) azione-reazione?
Come facciamo a capire se si tratta di relazioni efficaci? E cioè se ognuno dei due poli coinvolti è, effettivamente, nella condizione di stare sulla soglia ad attendere l’altro elemento (senza tuttavia chiedergli mai di tornare)?
Quali conseguenze tale movimento genera, ad ognuno dei due poli?
Non sono domande banali. Se lo fossero - cioè se la risposta fosse ovvia per tutti e per ognuno - significherebbe che vivremmo in una società che valorizza ogni individuo, nella sua storia e nella sua unicità; saremmo in grado di avviare discorsi con chiunque e di dibattere senza ammazzarci a vicenda.
La famiglia e, dopo (“dopo” perché essa pone in presenza di un numero maggiore di interlocutori), la scuola sono potentissimi terreni di allenamento delle capacità relazionali, e quindi educative, dell’individuo in crescita. Capacità che, in ogni caso, non cesseranno mai di essere affinate, nell’ottica di quel percorso a spirale che ti ho disegnato prima, oppure - nella peggiore delle ipotesi - che giungeranno ad implodere su se stesse, abbandonate e rinsecchite.
Ognuno di noi è, quindi, responsabile di e per tutti gli altri. E lo è per l’intera sua esistenza. Possiamo negare questa ‘antropologia di base’ e/o vivere come se non ce ne importasse alcunché. Rimarrà comunque, come un marchio indelebile, la responsabilità verso gli altri che avremo in tasca.
Discorsi troppo ‘pesanti’ per un fine luglio…? Non penso; in definitiva questo significa anche percepire una rete di sostegno sotto di me: è il lato buono (quello che mi reca vantaggio) della responsabilità!
Torno al punto. E ci torno come insegnante.
Il pensiero di Recalcati forse mi risulta particolarmente evidente al termine del ciclo primario: gli studenti hanno sostenuto l’esame, li ho accompagnati per la durata del triennio, adesso devo lasciarli andare. L’insegnante autorevole è colui, è colei che saluta (spesso definitivamente) con la certezza non tanto di “aver fatto un buon lavoro” ma di essere stato dimostrazione concreta - per tre mesi, un anno o cinque - di come gli esseri umani adulti gestiscono una relazione educativa. Mettendo in azione, giorno per giorno, quella distanza necessaria affinché l’altro si riesca a muovere e cioè non si trovi né soffocato né abbandonato in pieno oceano.
Ma, a rifletterci bene, è davvero la stessa sensazione che mi lascia la lettura - ad esempio - de Il senso delle cose, opera di un altro mio ‘padre putativo’, Richard Feynman.
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Feynman mi prende per mano, a volte mi fa venire in mente cose, (spesso mi lascia invece in un totale smarrimento!) poi mi dà un buffetto come a dire “forza, adesso vai avanti da sola, tanto lo sai che puoi tornare qui tutte le volte che vuoi”. E io procedo: tento, sbaglio, sbaglio ancora, e nel frattempo avvio discorsi con altri.
Lo chiamiamo “vivere”, no?
Adesso ti saluto, credo che andrò a farmi la seconda doccia in due ore…
Buona settimana a te ♡