“La distinzione più notevole fra gli esseri umani e gli esseri inanimati è che i primi si mantengono rinnovandosi”
Ma quando arriva l’autunno?? (perdonami, smarrisco anche la cortesia con questo caldo disumano)
Buon lunedì ❃
Oggi ho iniziato rubando le parole con le quali John Dewey esordisce, nel suo volume Democrazia e educazione (1916).
Quel brano, innanzitutto, mi fa venire in mente due articoli che scrissi tanti anni fa per Didattica delle Scienze, riguardo a metabolismo e informazione (avevo appena capito di me stessa che dalla Biologia stavo inesorabilmente cadendo nella buca gravitazionale della Filosofia!). Ma non divaghiamo…
Appunto. Ho messo sul piatto la mia, di direzione, che ad un certo punto mutò in modo impensabile (per gli altri… per me fu un’evoluzione che non mi lasciava affatto sorpresa).
Quel ‘mantenersi rinnovandosi’ di Dewey mi piace da impazzire.
E infatti…
Mentre inventavo la sequenza delle attività da inserire nel Manuale dell’Orientamento, avevo salda in mente la certezza che avrei dovuto creare dei momenti di azione-riflessione che riuscissero a destare, nello studente, la consapevolezza di quella dinamica tra restare e partire, tra esserci qui ed anche là, tra rimanere identici a se stessi e cambiare.
Nelle diverse forme di tali antinomie risiede l’essenza di ciò che ci fa umani, che è la capacità neurolinguistica: ancorarsi e proiettarsi, adesso e dopo, adesso e prima, qui (nella mia mente) e là (nel mondo).
Ho raccontato molte volte, nelle Masterclass, degli aspetti di biologia evoluzionistica e di filosofia del linguaggio che irrompono da quelle considerazioni. Ma il punto del quale vorrei oggi discutere con te è un altro: ti rendi conto che tutto ciò che sto scrivendo è.ogni.singolo.istante delle nostre vite? Non esistiamo, infatti, per imparare a staccarci dal qui e proiettarci in un altrove? Non trascorriamo le nostre ore libere a concederci simulacri di finzioni che, tra le pagine di un libro o nelle immagini di un film, fanno la stessa cosa?
E - cosa ancor più rilevante per noi - non entriamo in classe ogni giorno per insegnare che si può abbandonare per conquistare? Diventare grandi non è forse questo? Imparare ad accettare le perdite e i distacchi; ricercarli persino, per procedere oltre?
Non è forse questo il metodo per orientare?
Troppa teoria? Troppa filosofia?
Io non credo. Se, ineliminabile in fondo, hai - come me - tutto quello, allora ogni regola grammaticale, ogni proprietà delle potenze, ogni poetica manzoniana è la storia di oggetti che vanno e vengono, si ricollegano e si distinguono. Sull’abilità di farli girare e di collegarli, questi oggetti, non ci costruiamo forse le tabelle di valutazione, noi? Tutta la didattica (anche quando è esperienziale, situata, di realtà etc) è simbolica: chiede che si possieda la capacità di ‘mettere insieme’ eventi, elementi, azioni distanti.
Ma non basta.
Anche una buona intelligenza artificiale (pare che non si possa più evitare di parlarne…) lo insegnerebbe. Ciò che, invece, essa non sarebbe in grado di compiere è il processo dell’educazione. Estrarre dal vissuto del giovane che abbiamo davanti (anzi, fare sì che egli stesso estragga) tutti i frammenti della sua storia. Di conoscenza e non. Poi, farglieli disporre sul banco e giocare insieme a lui a ricomporli in nuove, inedite combinazioni. Come scriveva Poincaré in quel bellissimo brano che non smetto di citarti, da qualche tempo, e che avevo inserito in questo post:
Frammenti di una storia da disporre e ricomporre.
Perché mentre ci divertiamo con le nostre grammatiche e i nostri strumenti, anche stiamo comunicando ai nostri studenti un metodo potente. Da continuare ad applicare anche fuori da scuola e oltre gli anni in cui saranno con noi.
Per imparare a non accontentarsi delle composizioni che abbiamo sotto gli occhi, per voler giocare a scombinare le carte, per ricordare com’era e come vorremmo che fosse…
“La matematica è politica”, lo scriveva Chiara Valerio (quanto amo l’intelligenza di quella donna!).
La scuola orientativa è politica!
Buona settimana ❃
Simona