Buongiorno ♥
Anche tu, come me, forse stai per entrare in classe.
§ Oppure stai per metterti al lavoro, alla tua scrivania, portando avanti lo studio dei manuali per il prossimo esame (una delle mie più grandi soddisfazioni, in quest’ultimo anno - il primo di vita delle Lettere ad un (giovane) docente - è stato vedere quanti studenti universitari abbiano deciso di leggermi!)
§ Oppure, hai un figlio, una figlia, che vivono quotidianamente il conflitto/la scoperta dello studio
Una fra le mille definizioni che amo dell’insegnare - e quindi anche dello studiare, se ci pensi - la devo alla mia ‘maestra’, la prof.ssa Luigina Mortari: “tenere aperto il sentiero del pensare”.
Lateralmente, avevo affrontato il tema del pensiero in classe nel corso della Stanza di Valore n.3 (nel lontano mese di giugno, ormai…), Pensare per problemi.
[se te la sei persa e la volessi recuperare, qui sotto trovi il primo appuntamento dei quattro]
In quell’occasione, ti avevo parlato delle comunità di discorso e delle caratteristiche che possono rendere ricca e persistente una nostra lezione.
Altrove (sempre durante quel percorso mensile) mi ero espressa con le seguenti parole:
È giusto allora ribadire che la lezione è, in senso lato e complessivo, un ambiente di apprendimento.
Inoltre, una lezione che proceda per problemi è sinonimo di una didattica che sia - tutta e completamente, cioè in ogni suo aspetto e in ogni suo momento - situata.
Non dobbiamo però dimenticare che un ambiente di apprendimento è un tessuto relazionale all’interno del quale si inseriscono i frammenti di conoscenza (non ‘conoscenze’, ma conoscenza, sapere).
Indizio del fatto che si sia creato il citato tessuto relazionale è la possibilità che abbiamo di assistere alla nascita di una ‘comunità di discorso’.
Della contiguità - anche neurologica - tra pensiero e parola, persone ben più competenti di me dicono da secoli; io adesso mi limiterò a sottolineare come, nel condurre (o nel risiedere in) un ambiente di apprendimento, sia essenziale essere in grado di suggerire scambi di parole, che a loro volta promuovono il ‘buon’ pensare.
Gli scambi ai quali faccio riferimento sono evidentemente quelli che hanno luogo in un incontro di dialogo tra docente e studenti (una mia ex-studentessa, ora in prima liceo, mi raccontava in settimana come le sue lezioni di Scienze siano diventate una lettura a turno, in classe, del manuale con annesso esercizio di sottolineatura. Tristezza…).
Il luogo dove si realizza e trova massima espressione lo scambio di parole, il dialogo, è invece il problema. Quando si chiede ragione all’interlocutore - sia che si tratti di uno studente che del docente - di ogni affermazione, quella è la prova che si sta creando discorso.
Platone, nell’Apologia, elenca le tre azioni che danno origine alla problematizzazione: 1) interrogare (erēsomai), 2) esaminare (exetasō), 3) confutare (elegxō). Quando non insegnerò più, quello che mi mancherà sarà provocare ed assistere a questo triplice movimento, ogni giorno e in ogni ora (anche durante le verifiche scritte, sì! E non me ne pento!).
Non hai mai pensato che uno degli impegni che dovrebbe prendersi ogni adulto responsabile, ogni cittadino attivo, ogni educatore, sia quello di contrastare un’economia del pensare? Quante volte, durante le nostre giornate - parlando con altri, leggendo le notizie, ascoltando le parole di chi dovrebbe guidare responsabilmente uno Stato - ci accorgiamo di quanto sia frequente l’uso di pensieri già pensati?
Io credo che il mio ruolo, ancor prima di dare le basi per un consapevole uso delle frazioni, sia quello di provocare il sorgere di un pensiero - per quanto minimo - autentico.
[ti faccio un esempio banalissimo. Qualche settimana fa, ho dedicato un’ora di lezione ad una delle schede che ho creato quest’anno per l’orientamento. Come per le altre, si trattava di un invito alla riflessione, su di sé ma anche (cioè “attraverso”) sui contenuti della disciplina, che avevamo affrontato insieme nell’ultimo periodo. In sostanza, agli studenti richiedevo di applicare i criteri incontrati nella geometria (misura, esattezza, precisione) al concetto di ‘scelta della scuola superiore’. Vuoi un esempio di pensiero già pensato? “ho scelto il liceo X perché mi aprirà la mente”... Tristezza_bis (ma per il battage mediatico-comunicativo-relazionale al quale è evidentemente soggetto un ragazzo di dodici anni che si esprime in tal modo!)]
Eccoci qui, allora!
Noi, gli educatori (ovvero, coloro i quali, attraverso le loro opere ed azioni quotidiane di studio e riflessione).
Coloro i quali azzardano mettere in crisi queste inconsapevoli attribuzioni di significato alle esperienze.
Coloro i quali interrompono bruscamente le azioni irriflesse. Coloro i quali si dichiarano perplessi.
Coloro i quali disfano la trama di pensieri già pensati.
Qual è la perplessità sulla quale vorresti creare discorso oggi..?
Prima di salutarti e di augurarti una buona settimana, ti ricordo che giovedì 1° febbraio inizierà il percorso lungo 29 giorni e 29 parole per descrivere la scuola. L’ho pensato per dare voce a quella che ormai ritengo una necessità: raccontare ciò che facciamo, quello che siamo e che sono i nostri studenti, da una prospettiva diversa rispetto a quella che spesso vediamo in atto nei media attuali. Per portare a termine questo scopo, ho scelto 29 parole - una al giorno, dunque - che dicessero che cosa significa avere nel cuore il sapere, lo studio e la conoscenza.
Ho scritto il Prologo al percorso. Se vuoi, puoi scaricarlo.
Se ti interessa il progetto e vuoi ricevere le 29 lettere giornaliere (+ l’e-book finale), rispondi pure a questa e-mail e ti inserirò nella lista dei partecipanti.
Il costo del percorso è 29 euro.
E adesso, davvero… buona settimana ♡