“Anche se, fino a questo momento abbiamo continuato a parlare soltanto del sentimento che il tempo infonde nell’opera, vi è un’effettiva bellezza nelle impronte che esso lascia”
(J. Ruskin)
Buonasera a te ✤
Con oggi si chiude anche il questo settimo percorso di formazione delle Stanze di valore, “Insegnare: liberare l’individuo”.
La scorsa settimana, l’immagine dello studente-esteta (insieme alle caratteristiche civiche che possiamo assegnare a tale appellativo) ha descritto il modo con il quale mi sono posta davanti alle classi. Mi pare inoltre che le riflessioni - espresse nella forma delle dodici domande sul rispetto - scritte ieri possano trovare luogo in quella stessa figura.
Qui puoi trovare l’articolo di ieri:
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Martedì scorso il sottotesto di ciò che ti stavo presentando era la definizione dell’educazione come accompagnamento dei giovani a scoprire (facendone esperienza diretta e concreta) che la scuola può essere o diventare genius loci per ognuno.
Spesso mi esprimo in termini di disciplina incarnata, quando voglio sottolineare la tensione che regge l’insegnamento delle proprie materie: l’esigenza di mostrarle (agli studenti) come possibilità di esperienza o di rimando ad un’esperienza, ad un vissuto. Se Tizia vede, nella matematica, il proprio genius loci, significa che riesce a ‘sentirsi a casa’ nei meandri della mia disciplina. La matematica, non fosse che per una minima parte, le è entrata sottopelle. E quindi, anche attraverso la matematica, Tizia sarà più in grado di cogliere se stessa; sarà più in grado di prima di avere incontrato - grazie a me - la disciplina.
Non sto dimenticando il titolo che avevo voluto assegnare a questa settima ‘stagione’ delle Stanze di Valore: l’insegnamento come azione volta a liberare l’individuo.
Se ascrivo (perlomeno) una parte di quella azione dirompente del soggetto alla percezione di potersi sentire a casa nelle diverse discipline, in controluce mi sto anche rifacendo ad un vago sentimento di fascino nei riguardi di esse.
Nella citazione che ti ho riportato in esergo, sostano anche questa settimana le parole di John Ruskin, tratte da Le sette lampade dell’architettura (Jaca Book, 1982). In questo volume, Ruskin sottolinea il senso dell’armonia dei luoghi e il connubio tra ambiente artificiale e naturale.
Non è forse ciò che anche noi, nelle classi, miriamo a destare?
Quel ‘sentirsi a casa’ nella matematica - che è l’unico obiettivo, disciplinare, educativo, specifico e trasversale, che io abbia - non è forse, in sé, manifestazione di un’armonia?
E quel “connubio tra ambiente artificiale e naturale” non è forse ciò che siamo abituati a definire come esperienza nella nostra disciplina?
Lo studente che non abbia mai esperito la matematica non è forse colui che si aggira nei suoi ‘luoghi’ sentendoli completamente estranei ad essi e sentendoli completamente estranei a sé?
Ecco che allora oggi, in conclusione di un percorso che ha voluto dimostrare la necessità che la scuola diventi luogo di formazione per studenti-esteti (nell’accezione che ho descritto in queste due ultime settimane), voglio affermare che scuola È solo ciò che è in equilibrio costante tra un artificio (gli apprendimenti che vogliamo che i nostri studenti maturino) e la natura (il loro vissuto).
È forse l’eterno dilemma fra natura e cultura..?
Oggi ti voglio regalare la mia personalissima declinazione di una possibile armonia tra natura e cultura. Nella matematica, in un percorso che sto per concludere con i miei studenti.
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