“Quello che io propongo, perciò, è molto semplice: niente di più che pensare a quello che facciamo”
(H. Arendt, La vita della mente)
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Qualche mese fa, forse ricorderai che avevo voluto dedicare le quattro settimane di una delle mini-formazioni al Pensare per problemi. L’articolo iniziale del percorso era quello che ti riporto qui sotto:
Sempre, durante le occasioni che ho di incontrare colleghi delle diverse scuole - che il tema sia la didattica orientativa, la valutazione oppure qualche declinazione più strettamente disciplinare dello stare in classe - non manco di sollecitare la riflessione sulla necessità di lavorare affinché il pensiero sia centrale, durante le nostre lezioni. Può sembrare una banalità, lo so, ma credo invece che stia diventando sempre più ‘eretica’ una didattica che assuma l’esposizione di un giudizio quale perno intorno al quale organizzare se stessa. Sottolineo che ‘esporre un giudizio’ non significa affermare una verità immutabile, ma - ben più importante - decidere che la ricerca dei contorni di verosimiglianza debba essere il fine del metodo. Ogni disciplina persegue questo traguardo con i suoi strumenti e il suo linguaggio, senza cessare però di chiedere agli studenti (mentre il docente ne fa esperienza nel condurre la classe) di dare - e dire - le ragioni.
Ho intitolato questo percorso Le parole del pensare, ma vorrei che ci sentissimo tutti abbastanza flessibili da esportare il concetto di ‘parola’ verso quello esteso di ‘azione’.
[del resto, come scrivo anche nella Guida per il Docente, “la parola è un gesto inghiottito a metà”]
Vorrei allora, durante questi quattro martedì che trascorreremo insieme, sottoporre al vaglio mio e tuo alcune azioni che vanno a costituire l’ossatura di una didattica che si proclami volta allo sviluppo della capacità argomentativa, o pensiero critico che dir si voglia. Poi ognuno di noi sarà libero di arricchire con i contenuti della sua disciplina lo scheletro che avremo individuato.
Partiamo con il riflettere su quali siano gli indizi dai quali possiamo dedurre una generica mancanza di pensiero. Già H. Arendt in La vita della mente citava “l’incurante superficialità con la quale si affrontano questioni decisive per la qualità dell’esistenza umana”. Pensa che proprio questa mattina, nella mia seconda, abbiamo affrontato la questione dell’intelligenza come facoltà che ci permette di andare in profondità nel rapporto con la realtà, grazie alla decisione - perfezionabile con il metodo delle diverse discipline - di entrare in rapporto con essa. Tutto era partito perché avevo chiesto loro come mai i numeri razionali venissero definiti così… Ne sono nati cinquanta bellissimi minuti a verificare gli scarti tra alcune parole: razione e razionare; ragionevole; razionale. Ci siamo domandati se tutto ciò che è frutto di una ragione in atto sia necessariamente anche ragionevole. Infine, ci siamo interrogati su quale sia la differenza tra ragione e intelligenza, appunto. Credo di averli convinti del fatto che essersi presi cura delle parole (nella fattispecie, dell’ambito aritmetico che serviva a noi) sia stato equivalente a prendersi cura di sé, del proprio bisogno di accettarsi, ognuno diverso dagli altri, e di riconoscersi in cammino.
[non lo sapevano, i miei studenti (e mi sono ben guardata dal dirglielo!), che stavano sperimentando quel “vivere e fare bene”, che Aristotele aveva definito come eudaimonia, nell’Etica Nicomachea…].
Mi rendo conto che ciò che mi ha sempre guidato nel mio percorso di insegnante è stato lavorare per promuovere la capacità di pensiero - e fin qui, nulla di particolarmente straordinario, penso - ma, ancor più, è stato il desiderio di promuovere la passione per il pensiero. La mia adesione ad una visione della matematica fortemente ‘linguistica’ (si vedano gli studi, soprattutto, del prof. Manara e della figlia Raffaella, nell’ambiente accademico milanese degli ultimi cinquant’anni) ne è la prova.
Vorrei dunque dedicare, oggi, il primo appuntamento di questo nuovo percorso all’analisi di due termini che costituiscono entrambi la sostanza della nostra azione didattica ma che svolgono ruoli ben diversi tra loro. L’implicazione orientativa di essi ti si svelerà cruciale…
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