Buon lunedì ♡
Ti ripropongo oggi il nucleo (cioè tre parole) dell’intervento ad un convegno al quale ho partecipato sabato. La riflessione era proposta da un ex-dirigente scolastico ed essa aveva lo scopo di mettere in luce il ruolo fondativo di coloro i quali hanno in mano le redini di un Istituto scolastico. Detto per inciso, che boccata d’aria fresca è stata, rispetto alla definizione che ascoltai dare da un passato Ministro dell’Istruzione a proposito dei Dirigenti scolastici… Costui li denominò, senza aprire ad alcun ulteriore orizzonte, “funzionari dell’amministrazione scolastica”: che tristezza (e che paura!).
Insomma, il professor Ezio Delfino (presidente nazionale Disal) sabato ha invece messo in luce il ruolo che egli ha sempre percepito come suo, nello svolgimento della sua attività, e lo ha appunto declinato nei termini di: 1) sollecitudine; 2) regolazione; 3) vigilanza.
3.
Parto dal n.3, perché nell’immaginario comune esso si localizza più affine alla visione ‘tradizionale’ del Dirigente scolastico (forse era questa l’immagine che aveva in mente l’ex-Ministro!).
Tuttavia, l’accezione di ‘vigilanza’ che è stata proposta dal prof. Delfino mi è parso che sia stata, in modo molto interessante, estesa al di là dell’ambito puramente regolativo. Colui che dirige una scuola - persona che è, in un certo senso, colei che traduce in azioni quelle che sono sempre delle impalpabili ed utopiche (perché sono di tutti i luoghi e quindi di nessuno) indicazioni - vigila sulla possibilità che ogni studente sia valutato. Evidentemente, Delfino non si stava riferendo al controllo da esercitare sul numero e la qualità delle verifiche dei singoli docenti; ciò che egli ha sottolineato essere rilevante nel ruolo del Dirigente è lo sguardo educante. Uno sguardo che è sempre da condividere con l’intero collegio e che può giungere sia alla riconvocazione di un consiglio di classe, nel caso in cui il lavoro verso la creazione di un giudizio condiviso non sia stato compiuto.
Come possono non venirmi in mente le esperienze che molti colleghi mi hanno raccontato negli anni, descritte nei termini di scrutini durati mezz’ora, costituiti dallo sciorinare monotòno delle singole valutazioni finali e spesso definiti esclusivamente da votazioni per alzata di mano?
È il lavoro, pur difficoltoso, di generazione di un giudizio comune quello che garantisce ad ogni studente la possibilità di:
a) essere guardato come persona
b) nella sua interezza
c) avendo sempre in mente il suo percorso di crescita.
2.
Regolare un collegio docenti è invece l’azione - che può compiere soltanto il Dirigente - attraverso la quale ogni passo formativo che viene proposto ai colleghi (e quindi poi, a cascata, agli studenti) avvenga nella forma di ‘problema’. Molto spesso, in questi quasi due anni di vita delle Lettere, ricordo di essermi appoggiata al concetto di ‘problema’ come dimensione educativa essenziale.
Ne avevo scritto, ad esempio, nelle seguenti occasioni:
Intendo che la sostanza dell’educare - e a maggior ragione quella dell’istruire - non può che tradursi nella capacità (ma prima ancora nella volontà), da parte dell’adulto, di presentare la realtà come problema, come oggetto mai concluso in se stesso, riserva di sapere e soprattutto illimitato.
Sottolineo che “presentare la realtà come problema” non significa assolutamente aderire alla religione del dubbio e dell’opinione aleatoria, lasciando quindi agli studenti l’implicito sospetto che si vada a scuola per partecipare ad una rappresentazione teatrale basata sulla menzogna.
Quando in classe affermo la validità del secondo principio di equivalenza, afferro la verità che x sia uguale a 2, se mi viene data la 3x = 6. Eppure, apro anche alla necessità di rimettere in gioco la verità precedentemente acquisita, quando fronteggio l’equazione 0x = 7
1.
Qual è infine lo sguardo di sollecitudine che deve essere proprio del Dirigente scolastico, allora? Ho molto apprezzato la lettura fornita dal prof. Delfino, che ha presentato la sollecitudine quale tensione, da parte di chi ‘dirige’ una scuola, volta a rendere coloro i quali collaborano all’impresa educativa consapevoli del loro ruolo culturale. Di conseguenza mi viene da dire che, in presenza di docenti che siano consapevoli di ciò, anche gli studenti non potranno non esserlo. Anche del nostro ruolo culturale (che è molto più della somma delle specifiche competenze che possiamo avere acquisito negli anni e durante le formazioni alle quali abbiamo partecipato) spesso ho scritto in questo luogo - che vuole essere di lenta e condivisa riflessione e non di distribuzione di strategie pronte all’uso! - nel quale adesso ti trovi.
Paragono le parole ascoltate sabato con quanto leggo in Studiare per amore, di Nicola Gardini:
«Quando studiamo, stiamo addosso alla cosa; non ce la togliamo mai dalla testa. Lo studio è brama di possesso; pretende che la cosa diventi completamente nostra. La vogliamo capire, contenere, assorbire, e al tempo stesso vogliamo che ci capisca, ci contenga, ci assorba»
Che meraviglia quello “stare addosso alla cosa” che comunichiamo (anzi, meglio, che testimoniamo) ai nostri studenti; una contiguità con la realtà che diventa desiderio di possederla e insieme certezza di vedercela sempre sfuggire dalle mani. Una certezza che, però, non viene vissuta nella rassegnazione e nell’ira, ma - vedi sopra - nell’incanto del problema.
Buona settimana ♡