Eccoci arrivati al terzo appuntamento del percorso La responsabilità dell’educare. Il primo e il secondo erano qui:
Ci siamo ‘lasciati’, la scorsa settimana, con alcune riflessioni che ruotavano intorno all’evidenza che la responsabilità è la forma che assume la cura per un altro individuo nel caso in cui essa venga letta come dovere, ed è apprensione nel caso in cui percepiamo che sia minacciata la vulnerabilità di quell’individuo. Ecco allora che è dalla domanda sul destino (cioè dal desiderio di cura) di quell’individuo che originano il dovere e l’apprensione, entrambi accezioni diverse del termine ‘responsabilità’.
Credo che siamo giunti ad un punto cruciale.
Si dice spesso che la nostra attuale sia la società della cura; in passato, proprio qui ne avevo parlato. Mi chiedo, tuttavia, se alla scuola venga riconosciuto - da chiunque la guardi ‘dall’esterno’ - questo ruolo.
La scuola viene intesa (e prima, viene costruita, scelta, voluta) come luogo nel quale la responsabilità si manifesta come conseguenza di una domanda sul destino dell’Altro?
E inoltre…
Siamo sufficientemente espliciti nel comunicare questa tensione sottostante ogni apprendimento?
Perché l’Altro può apparirci nella forma di un altro essere vivente così come di un animale o di un territorio.
Le innumerevoli educazioni a… non sono altro che educazione a riconoscere la necessità di elaborare una domanda sul destino.
All’interno di ognuna delle nostre discipline si nascondono le dimostrazioni di come ognuno di noi - ogni individuo che si trovi ad incontrarle, studiarle, viverle - debba sentirsi in obbligo verso di esse e verso ciò che esse rappresentano. Ecco perché trascorrere un’ora a correggere espressioni con le frazioni (come mi è accaduto questa mattina!) è, per me, anche Educazione alla cittadinanza. Io desidero che i miei studenti percepiscano quella responsabilità verso un oggetto di studio, si sentano ‘in obbligo’ verso di esso, tanto da volerlo tutelare.
Qualche mese utilizzavo la metafora dello studente quale pellegrino del sapere (pellegrino e non turista, ricordi?); oggi sto affermando che l’azione del tutelare un oggetto (di apprendimento) mi sembra la migliore educazione al rispetto, tout court.
Mi auguro che ognuno di noi scavi nei meandri di ciò che ha tra le mani - la sua disciplina d’insegnamento, la sua professione - per estrarre oggetti dei quali rendere responsabili i nostri studenti, oggetti preziosi che devono essere tutelati.
Da insegnante, però, voglio fare un passo avanti.
E mi chiedo dunque: la responsabilità è un rapporto reciproco?
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