“Se io potrò impedire
a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano”
(E. Dickinson)
Buongiorno ✳
Dopo aver letto le storie di questi giorni di Tiziana Palmieri su Instagram, voglio tornare a parlare di valutazione. Tiziana faceva riferimento all’intervento di Corsini, mentre io sto (finalmente!) riprendendo in mano il lavoro che avevo avviato dopo la riflessione sull’eccedenza:
Oggi, tuttavia, vorrei concentrarmi su un altro corollario del valutare.
Un aspetto che è legato a doppio filo alla valutazione e al quale - man mano che ‘invecchio’, come insegnante e come persona - assegno un’importanza sempre maggiore è quello del benessere nella scuola. Si tratta, purtroppo, di un doppio filo che assume il significato di un cappio (e tremo al pensiero di aver utilizzato una metafora che ben sappiamo quanto spesso abbia abbandonato l’ambito simbolico…).
L’European Observatory on Health and Policies (che nasce dalla collaborazione tra i governi dei diversi Paesi europei, le agenzie internazionali e il mondo accademico) definisce ‘benessere’ “lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale [...] che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società”; l’Organizzazione Mondiale della Sanità, invece, parla di “disposizione in cui l’individuo è in grado di sfruttare le proprie capacità cognitive ed emozionali per rispondere alle esigenze della routine quotidiana, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, adattarsi costitutivamente alle condizioni esterne e ai conflitti interni”.
Sogno una scuola, una didattica, per le quali il benessere risulti il principio organizzatore che possa orientare i diversi ambiti e le singole azioni.
Il criterio sul quale si basa la reciproca relazione tra valutazione e benessere fa riferimento agli studi di D. M. Haybron [Happiness, a very short introduction, Oxford University Press, 2013]. L’autore distingue infatti tra ‘felicità’, intesa come benessere emotivo, e ‘benessere’ in senso globale, spiegato in termini di valore. Secondo il concetto di eudaimonia (risalente ad Aristotele), il giudizio di valore che un individuo attribuisce a ciò che considera essere un bene per sé si riferisce alla realizzazione della nostra natura, di esseri umani.
Come possiamo, agendo nella scuola, contribuire ad accrescere tale giudizio di valore nei nostri studenti?
Mi affido alle ricerche di due altri studiosi - R. M. Ryan e E. L. Deci, On happiness and human potentials: a review of research on hedonic and eudaimonic well-being, 2001 - i quali pongono il benessere in correlazione positiva con:
alti livelli di autonomia
crescita personale
accettazione di sé
percezione di senso per la propria vita
padronanza nelle diverse situazioni
coinvolgimento in relazioni positive
Mi sembra che si tratti di sei perni attorno ai quali possiamo costruire ogni dettaglio della nostra azione didattica, ‘infarcendoli’ dei contenuti essenziali delle nostre discipline e cuocendo a fuoco lento il prodotto che così portiamo… sui tavoli degli studenti.
Quando (spesso) scrivo e parlo di didattica orientativa e della sua controparte che è l’ orientamento narrativo, alludo al fatto che non è assolutamente necessario che la scuola produca decine di progetti aggiuntivi, nella forma di mille e più educazioni … Una didattica consapevole e ‘spessa’ si presenta come l’insieme delle azioni attraverso le quali il docente lavora per educare ad ognuno di quei sei traguardi; e lo fa grazie alle sue discipline, mediante esse.
Quanto spesso vediamo accadere tutto ciò? Siamo onesti…
Riusciamo ad immaginare una scuola - dalla primaria fino all’ultimo anno di scuola superiore - all’interno della quale gli studenti diventino in grado di assegnare valore a loro stessi, secondo ognuno di quei sei punti? E lo possano fare durante le ore di Italiano, di Diritto, di Fisica, di Motoria?
La scuola deve, nella mia personalissima opinione, perseguire come scopo il fatto che ogni studente possa raggiungere la competenza ‘benessere’. Ma non leggendo questo termine - in base alla lettura che ti ho proposto oggi - come stato emotivo, umore, positivo. Si tratterebbe, in questo caso, semplicemente di un clima interiore soggettivo, al quale noi - in qualità di docenti - nemmeno avremmo ‘diritto di accesso’. Del benessere come oggetto da sottoporre a valutazione, invece, possiamo (e dobbiamo) occuparci. Prendendocene carico nelle nostre singole ore di lezione. Tutte.
Il vantaggio - e non mi par poco… - è quello di ‘rischiare’ di far sperimentare ai nostri studenti che nella scuola c’è vita, che la loro vita prende forma nella scuola. Non perché quello che lì imparano li aiuterà a trovare lavoro (quanti tra noi ancora credono a questa favola bella?) né perché ciò che sanno permetterà loro di partire ‘in vantaggio’ in prima superiore. Ma perché, durante il tempo della scuola, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, e poi giovani uomini e donne possano fare esperienza di essere uno: nel senso di unicità e in quello di interezza.
Sarebbe bello se la valutazione tenesse tutto questo, come suo orizzonte.
Che cosa ne dici se organizzassi un’altra masterclass sulla valutazione (l’ultima risale a più di sei mesi fa)?
Ti lascio un sondaggino… (oppure rispondi a questa email e ti invierò la descrizione degli argomenti che vorrei affrontare; poi ci mettiamo d’accordo sulle date)
Ti auguro, intanto, una buona settimana ✳
Simona