Buon venerdì ✰
Mi accorgo che, nelle ultime Lettere che ho scritto, sto tornando molto spesso sulla questione della definizione che possiamo dare di vissuto dello studente. In particolare, sento la necessità di approfondire il concetto da un duplice punto di vista, dove entrambe le prospettive hanno un peso rilevante, nella nostra competenza professionale.
Avere a cuore il vissuto di uno studente attiene (anche) alla componente cognitiva della relazione che con lui instauriamo. Non è per empatia o immedesimazione che dobbiamo costantemente registrare e rilevare l’insieme delle sue esperienze; la ragione è propriamente didattica.
Il terreno attraverso il quale si è mosso chi abbiamo davanti durante le nostre lezioni ci è soltanto parzialmente noto, sia per ovvi motivi (ignoriamo sempre ciò che la scuola è stata, per i nostri studenti, prima che ‘arrivassimo noi’) sia per ragioni forse ancor più importanti (la traccia che i singoli apprendimenti hanno lasciato in loro è spesso sconosciuta a loro stessi).
Eppure l’alter ego della nostra azione didattica risiede proprio in quel groviglio di eventi, ricordi, emozioni, pensieri. Ed è questo che definiamo come ‘vissuto’ dei nostri studenti. L’apprendimento - intendendo con questo termine ogni generico evento di crescita individuale - nasce dall’incontro di due realtà che si riflettono l’una nell’altra, lo sappiamo bene. Ciò che lo studente porta con sé e mette a disposizione (negandolo, a volte) è la trama della sua storia.
La scorsa settimana avevo anticipato qualche aspetto relativo a questo tema, qui:
Ciò che mi premeva mettere in chiaro era sottolineare dal punto di vista disciplinare l’ampiezza della portata del fiume chiamato ‘vissuto’. Dobbiamo arrenderci ad affermare che l’efficacia di un apprendimento dipende dalla capacità del docente di aiutare ogni studente a districare l’insieme delle sue esperienze in modo da metterne in luce la trama. Soltanto in quest’ottica credo abbia senso parlare di didattica orientativa, in modo da intenderla estesa all’intero ventaglio delle discipline. Di nuovo, torno a proporti la metafora narrativa, la sola (a mio modesto avviso) attraverso la quale l’orientamento diventa significativo.
L’azione di chi accompagna gli studenti ad orientarsi si declina su due versanti, che a prima vista appaiono scorrelati tra loro: a) il versante identitario (dato dalla consapevolezza di sé e dei propri confini) e b) il versante degli apprendimenti (dato dalla rilevanza e dall’efficacia di ciò che è stato acquisito negli anni). Il docente orientatore ha quotidianamente questo doppio sguardo sui suoi studenti. Ideale sarebbe dire il docente, tout court, poiché ogni elemento del consiglio di classe dovrebbe essere in grado di agire orientando. Non perché tutti abbiano frequentato un corso del MIM durante la scorsa estate, ma perché tutti dovrebbero conoscere profondamente la storia degli apprendimenti di ognuno degli studente.
Come si conosce la storia degli apprendimenti di uno studente?
Che cosa significa analizzare il suo vissuto?
Ne parlavo anche martedì, in conclusione del percorso Parole per pensare:
Quando generiamo dialogo con la classe (e quindi con il singolo), siamo in grado di suscitare l’unica azione che possa dirimere il groviglio individuale. La didattica che genera dialogo - tra gli studenti ma, soprattutto, tra le diverse anime e storie di ognuno di essi - è didattica orientativa. E questo, tutti i docenti sono in grado di farlo, a patto di voler scendere tanto in profondità, nella propria disciplina, da andare a cogliere quali elementi di essa abbiano generato un nodo, un intoppo, nelle storie individuali di apprendimento.
Lavorare con gli studenti in modo che essi siano in grado di verbalizzare - o perlomeno di localizzare - tali nodi è il migliore degli interventi orientativi che possiamo realizzare con e per loro.
È quindi sempre questione di narrazioni, come puoi osservare.
Narrare se stessi, narrare i propri apprendimenti, prendere coscienza del proprio vissuto… Si tratta sempre di operazioni che chiamano in causa l’uso del logos.
Oggi voglio proporti una attività chiarificatrice - del Sé o della tua disciplina - basata su alcuni principii cardine della narratività.
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