Mancano meno di due settimane a Natale!
Poiché credo nella sostenibilità delle attività e dei percorsi culturali, ho pensato di offrire al 50% del costo gli abbonamenti annuali alle Lettere.
Da oggi fino alla mezzanotte del 24 dicembre, potrai abbonarti al prezzo di 90 euro invece di 180.
Spero che questa possa essere l’opportunità per regalarti quelle che desidero essere occasioni di riflessione per tutti gli attori coinvolti nel processo educativo
Buona serata ✰
(fra tachipirina e coperte… ma desideravo comunque ‘aprire il dialogo’ anche oggi)
Ormai è tradizione che gli appuntamenti del venerdì si muovano in quella declinazione del termine ‘educazione’ che vuole prendersi la responsabilità dell’adulto-che-accompagna a crescere. Spesso, infatti, ho reso le riflessioni di questa sezione Visioni come orientamento o didattica orientativa; non l’ho fatto per strizzare l’occhio alle ultime richieste ministeriali, ma - al contrario, forse - per ribadire che ogni azione didattica è immancabilmente orientativa.
Voglio infatti ricordarti che il 6 dicembre è anche uscito il mio e-book, che raccoglie i primi dieci mesi dei Venerdì delle Lettere (anche se, a volte, erano diventati dei sabati…). Se hai ancora nelle Archiviate molte delle Lettere, pensi di non avere tempo per spulciarle tutte e quindi non hai ancora previsto un abbonamento, puoi acquistare direttamente l’e-book che contiene tutti gli articoli del venerdì (dedicati all’orientamento, alla didattica orientativa e al concetto di identità individuale), nella loro forma completa, quella alla quale hanno accesso gli abbonati. Il costo dell’e-book è di 30 euro.
Se vuoi saperne di più, trovi tutto qui.
La scorsa settimana, infatti, scrivevo dell’immaginario prospettico tipico del preadolescente e dell’adolescente.
Ogni azione didattica, in definitiva, consiste nell’accompagnare ragazzi e ragazze a prevedere (se stessi in un, più o meno, immediato futuro), a scoprire a quale visione della realtà essi decidano di aderire. Chi è insegnante, svolge questo ruolo ‘giocando’ con le proprie discipline, dimostrando - in ogni ora di lezione - come tutto di esse parli al resto.
Vi è una parola che, da sempre, trovo perfetta per descrivere questa dimensione professionale: curatela. Forse l’analogo anglosassone curation ci appare meno aulico e meno distante dall’esperienza individuale; in ogni caso, nell’area semantica del termine torna quella dimensione di cura che spesso abbiamo associato alla figura dell’educatore.
Perché accompagnare un giovane adulto nella crescita è processo favorito da questa accezione - laterale, per così dire - della cura?
Penso a Montaigne, ai suoi Saggi. Vi è chi ha definito il filosofo francese una sorta di blogger ante litteram, proprio per la sensibilità che - per la prima volta nei suoi scritti - egli fece emergere riguardo all’attività del collezionista di idee.
“ho raccolto un mazzolino di fiori di altri uomini, e solo la cordicella che li lega è mia”
Io ho la sensazione che gli studenti (e non aggiungo ‘di oggi’ perché, in realtà, è una percezione che ho da ventisei anni…) abbiano bisogno assoluto che venga loro reso chiaro il ruolo che possono avere: quello di essere la cordicella che tiene insieme i fiori di altri.
È accaduto soltanto a me di sentire obiezioni circa il fatto che sia “già stato scoperto tutto”? Diciamolo onestamente: un giovane, strutturalmente (al momento non so dire se sia per le tappe dello sviluppo mentale oppure per ciò che la scuola gli ha insegnato), si sente sempre nella condizione di dover semplicemente raccogliere una montagna di fiori, senza lasciarne cadere nemmeno uno. La cordicella nemmeno è prevista.
La consapevolezza del proprio ruolo nella società e nella conoscenza implica, invece, che non tutto è da raccogliere, e che il bello di crescere è usare una cordicella costruita sul momento, in modo originale.
Studiare, imparare, saper vivere sono azioni che si basano sull’assemblaggio critico - cioè determinato da un pensiero che sappia farsi critico - di idee preesistenti. Ecco perché amo questa dimensione della cura e perché sono convinta che costituisca il nocciolo del mestiere dell’educare.
Si riesce ad avere una percezione costruttiva del sapere e dell’uso che se ne farà in un futuro solo a patto che ci venga riconosciuta (da chi è più ‘avanti’ di noi) la necessità di proporre e portare nel mondo un criterio originale. Mi sembra francamente assurdo che si possa credere di mettersi a ragionare con gli adolescenti di ‘capolavori’ se li si è fatti vivere, fino a quella età, in una dimensione del sapere di tipo replicativo e non creativo.
Curarsi di ciò - e curare ciò - che le discipline possono offrire è l’esperienza che dobbiamo permettere di svolgere a chi sta crescendo, per garantire che il processo dell’andare incontro al futuro sia buono per chiunque.
Fare orientamento (che espressione orribile!) non è altro che riconoscere agli studenti la possibilità di esercitare il metodo della mente umana: un metodo che categorizza per associazione. È una possibilità che essi imparano osservandola in azione dagli adulti, i quali - mentre afferrano un elemento - si guardano intorno per coglierne un altro e poi un altro ancora… Se ci pensi, in un’epoca nella quale le riflessioni sulla AI si fanno sempre più frequenti ed estese, siamo sempre qui a ribadire il valore della selezione per associazione, che è indubbiamente maggiore di quello della selezione per indicizzazione.
Il docente creativo educa studenti creativi, proprio accompagnando nel processo dell’apprendere a selezionare per associazione. Uno studente cresciuto secondo tale criterio, come un novello Montaigne, andrà incontro agli eventi, alle esperienze, ai saperi con la certezza che un’associazione sia sempre alla sua portata. Di più, che sia soltanto sua.
Questo è il concetto di ‘capolavoro’ contenuto nelle Indicazioni ministeriali per l’orientamento. Ma deve riflettere tutto ciò che appartiene alla scuola sin dalla prima classe della scuola primaria.
Il binomio - più una dicotomia, in realtà - tra associazione e indicizzazione mi ricorda un altro contrasto di cui avevo scritto in passato, quello fra talento e genio. Ecco, oserei proporre una analogia in forma di proporzione:
“l’associazione sta all’indicizzazione come il genio sta al talento”
Non voglio dimenticare, infatti, che nel nuovo paradigma di scuola che propongo il talento cessa di avere la priorità assoluta.
I capolavori, dunque, non sono tanto quelle opere o esperienze caratterizzate da una lucente e chiarissima abilità, ma quelle creazioni date dall’aver messo insieme elementi apparentemente distinti. Il genio è quella associazione. Wordsworth definiva la prova del genio
“il fare bene ciò che è meritevole di essere fatto, e come non è mai stato fatto in precedenza”
E Wilde
“Si potrebbe dire che il grande genio non è affatto originale; è altamente ricettivo, lascia che il mondo compia tutto il lavoro e accetta che lo spirito del momento passi senza ostruzione per la mente”
Oggi voglio continuare a ragionare sul dilemma genio-talento.
Sono convinta che può costituire una risorsa notevole all’interno di tutti i percorsi orientativi.
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