“Questa curiosità, che ora sentiva risvegliarsi in lui, riguardo alle più piccole occupazioni di una donna, era la stessa che un tempo aveva avuto per la Storia. E tutto ciò di cui, fino a quel momento, si sarebbe vergognato - spiare di fronte a una finestra, e chissà, domani magari estorcere abilmente informazioni da gente qualunque, corrompere i domestici, origliare dietro le porte - non gli sembrava ora altro che un metodo d’investigazione scientifica di alto valore intellettuale e appropriato alla ricerca della verità, al pari della decifrazione dei testi, del confronto delle testimonianze e dell’interpretazione dei monumenti”
(M. Proust, Du côté de chez Swann, 1913)
{Ciao! Questo che stai per leggere è il quinto appuntamento del mio percorso di formazione sostenibile, dedicato alla Distrazione come risorsa. Ti accompagnerò, fino al termine del mese di agosto, nell’esplorazione di un concetto che troppo spesso siamo stati abituati ad inserire nella ‘lista dei cattivi’.
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Buongiorno a te e buon mese di grilli e cicale ♡
L’articolo di venerdì scorso ed anche quello di ieri hanno iniziato a sfiorare un aspetto della riflessione filosofico-psicoanalitica che (se anche tu non trovassi affascinante di per sé) mi sembra si presti in modo netto ad essere applicato alla scuola, all’insegnamento, al nostro essere docenti. Venerdì parlavo di creatività e memoria - che già mi sembrano due espressioni dell’essere umani ben declinabili nella scuola - ma soprattutto ti avevo socchiuso la porta che dà sulla differenza tra Io e Sé.
Innanzitutto, vorrei sgombrare il cielo dalle nuvole e chiarire la direzione che ho preso e lungo la quale voglio condurti.
Punto 1. (forse te lo sei chiesto anche leggendo il titolo della Lettera di ieri, confessa…)
Perché dovremmo porre attenzione a quale termine utilizziamo, per definire il destinatario della nostra azione didattica?
Punto 2. (e forse oggi stai aggiungendo il carico…)
Perché distinguere tra un’azione sull’Io e una sul Sé mi renderebbe un docente capace di migliorare l’efficacia dell’apprendimento dei miei studenti?
Punto 3. Non dimentico che il percorso del martedì di questi due mesi di luglio e agosto è dedicato alla scoperta della bellezza del distrarsi (nostro e dei nostri studenti).
Rispondo innanzitutto alla prima domanda.
Avendo (credo) tutti noi fede nel fatto che le parole che usiamo definiscono il nostro mondo (à la Wittgenstein…), già esulterei se tutti coloro che ‘costruiscono’ la scuola bandissero dal loro vocabolario termini quali “somministrazione”, “contenuti”, “prodotto”, “offerta”, etc. Significherebbe volontariamente avere abdicato al ruolo di burocrati e gestori di una pachidermica istituzione all’interno della quale i ‘piccoli/giovani attori’ sono numeri e maglie di un ingranaggio.
Io credo nella scuola ad personam; questa è la ragione per la quale ho deciso - qualche mese fa - di radunare alcune delle riflessioni che andavo compiendo - e delle quali avevo, negli anni, imbrattato metri di carte - in un unico luogo, quello nel quale adesso ti trovi.
Una scuola ad personam è un luogo - che si fa tempo - che ha come scopo il fiorire delle esistenze: lo scopo è la persona.
Ricordi, quando durante il secondo percorso dei martedì della formazione (quello dedicato alla Cura di sé), ti avevo parlato del concetto di επιμέλεια? Lo avevo definito il secondo livello della cura: è l’arte dell’esistere che ha come scopo la fioritura dell’essere, in quanto tale pienamente rappresentata dall’educazione.
Se vuoi rileggerlo, lo trovi qui:
Sai che cosa ti dico, invece, oggi?
Che ho capito come avere la persona come traguardo educativo non è nemmeno ancora sufficiente, perché normalmente tale sostantivo viene equiparato al concetto di Io.
E non basta (come scrivevo ieri).
Non basta perché nell’Io trova spazio tutto ciò che si acquisisce razionalmente, grazie ai costrutti mentali che definiscono l’area cognitiva del nostro essere. E, fortunatamente, c’è dell’altro. Vi è lo spazio più profondo e meno accessibile (dall’esterno ma anche da parte di noi stessi) che è quello del Sé. Un campo che viene irrigato dalle emozioni, nel quale è la memoria involontaria - eccola che torna! - a guidarci, senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Il terreno si imbeve di ciò che ha potuto afferrare (cioè percepire) e diventa così fertile.
Soltanto dopo, avremo la semina dell’Io.
Ieri ti avevo proposto un sondaggio, infatti. Relativo a quanta parte della nostra programmazione didattica fosse dedicata all’Io (a maggior ragione nel secondo grado!)... Hai già espresso la tua opinione? Ieri la mia è stata abbastanza categorica. La conseguenza che ne traevo era l’inevitabilità della scarsa efficacia degli apprendimenti. Un edificio costruito su fragili fondamenta, quello che così ci affanneremmo a voler creare, nella mente dei nostri studenti. Metodologie, tecniche, compiti di realtà, apprendimenti situati… Tutto fa buon brodo, a patto che il primo, l’originario stato mentale nel quale lo studente aveva ‘posizionato’ la struttura cognitiva fosse stato quello adeguato.
Oggi ti voglio condurre qualche passo in avanti, all’interno di questa riflessione.
Ma se l’Io - cognitivo, razionale, ‘tutto d’un pezzo’... - attecchisce solo su un Sé ben irrigato (dalle emozioni o stati mentali che dir si voglia) e, perdipiù, se di tale irrigazione nemmeno il soggetto può avere piena consapevolezza,
come possiamo noi docenti - ragionevolmente - creare le condizioni adatte affinché ogni studente amplifichi la percezione del proprio Sé?
È proprio a questo punto che entra in gioco la distrazione…
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