Forza centrifuga e forza centripeta
le due tensioni alle quali è sottoposta l’identità e che la scuola deve saper gestire
Buon venerdì ✻
Nel mio lavoro che trovi sull’ultimo numero della rivista Mizar - Costellazione di pensieri, ho iniziato ad esplorare il tema - che reputo centrale, nella riflessione didattica - del riconoscimento. La prospettiva che mi sono posta per il mio futuro prossimo, come ti ho già raccontato altre volte, è di analizzare la declinazione attuale del termine, in modo da poter prevedere la direzione che prenderanno le legislazioni scolastiche europee (perlomeno) in ambito valutativo.
Con Lettere ad un (giovane) docente, tuttavia, sto anche cercando di dimostrarti come una scuola che giostri con intelligenza il concetto di riconoscimento sia una istituzione in grado anche di muoversi in modo efficace, accurato ed attuale nell’ambito orientativo. Qui e qui puoi ritrovare alcune delle riflessioni che proponevo.
Nell’ambito delle attività che favoriscono la presa di consapevolezza identitaria - e che quindi noi intendiamo rivolte ai nostri studenti, ma che in realtà potremmo destinare a qualsiasi individuo - finora mi sono concentrata su quelle che operano per promuovere la costruzione narrativa del Sé.
Oggi vorrei però ampliare il discorso e quindi iniziare ad accennare ad un’area d’azione che sia corollario, se non speculare rispetto all’agire di un Sé, che si struttura nel tempo e a seguito di determinate esperienze.
Mi spiego: per identificare i confini della propria identità (e quindi per aiutare gli studenti a chiarire a se stessi in quale direzione intenderebbero muoversi per il loro futuro), abbiamo visto come la potenza del pensiero narrativo sia addirittura superiore, in alcuni contesti, a quella del pensiero logico-deduttivo. Il caso che ti avevo presentato, all’interno di quell’articolo, era quello relativo agli esami di Stato come controprova dell’efficacia di un percorso di orientamento intelligente e personalizzato.
Ti ricordo che, se volessi approfondire questa particolare declinazione dell’azione orientativa (nel primo come nel secondo grado), puoi iscriverti allo spazio di lavoro Linguaggio & Identità
Da un lato, quindi, il Sé si forgia e plasma - per così dire - dall’interno verso la periferia, riprendendo i brandelli smarriti del proprio vissuto (secondo lo sguardo della reminiscenza, che avevo analizzato anche qualche giorno fa, ti ricordi?), fino a ricomporli in quel guscio appena esterno al Sé che è l’Io.
Vi è però anche una costruzione che mi piace pensare e definire centripeta, dalla periferia verso l’interno; un procedere che muove da ciò che già costituisce l’Io e conduce verso il nòcciolo, il Sé identitario.
E quali sono le tracce del vissuto che più facilmente uno studente riesce a rilevare?
Sono le tracce di un’appartenenza.
Ovvero: che cosa costituisce ciò che è mio-e-soltanto-mio?
Come possiamo aiutare gli studenti a lavorare su ciò che essi percepiscono appartenga loro? In modo che essi, poi, riescano a volgere, in un’azione analoga, la loro riflessione verso ciò a cui sentono di poter appartenere?
{sotto il paywall il percorso, e quindi l’accesso al documento, continua per gli abbonati. Magari non è per te il momento di investire nella mia attività, ma nel caso trovassi utile o interessante ciò su cui lavoro, ti sarei davvero grata se tu volessi condividere la newsletter con qualche amico o collega. Anche con questo piccolo gesto puoi sostenere la mia ricerca e la mia professione. Grazie}
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Lettere ad un (giovane) docente per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.