Buongiorno ✰
L’appuntamento di oggi appartiene alla sezione Cosmografie. (se clicchi sul link trovi anche l’elenco di tutte le precedenti uscite)
Come sempre, ti ringrazio per accogliermi nella tua casella di posta e per dedicarmi qualche minuto della tua attenzione.
«Aver subìto la vita senza sapere come rispondere è la condizione per avere qualcosa da dire»
(N. Chiaromonte)
Non si può dire che quella voce verbale - quel “subìto” - che irrompe nelle parole di Nicola Chiaromonte non ci colpisca (e inquieti, e perturbi, continuando nella scelta lessicale che da qualche settimana ti sto raccontando, ad esempio qui e qui).
Eppure, mentre riprendo oggi in mano appunti scritti più di una decina di anni fa, rileggo in filigrana, in quelle parole stesse, ancora una volta una traccia di metodo didattico.
Spesso, nelle ultime puntate delle Lettere, ho infatti girovagato intorno al tema del ‘sublime’ nella scuola. Concetto contiguo, quello del ‘sublime’, e spesso normalmente confuso con l’altro - il ‘bello’ - ma molto più potente e generativo per noi educatori.
Dal ‘bello’ scaturiscono l’ammirazione ed anche - secondo un criterio simile - la compassione, emozioni ormai abbandonate e desuete poiché rendono manifesta - in chi la prova, la prima, e in chi la riceve, la seconda - la necessità dell’umiliarsi. Di quel ‘tornare alla terra’ (etimologicamente parlando) per essere irrigati da altro o da altri.
Suscitare il ‘bello’, nella scuola, trovo che abbia valore innanzitutto secondo questo sguardo; la bellezza educa a sentirsi umili, non risolti, imperfetti (... e felici, come direbbe la dottoressa Andreoli!)
Tuttavia, non penso che basti. Non può essere sufficiente, da un punto di vista educativo (ma anche strettamente didattico) accompagnare i giovani e giovanissimi a provare l’emozione che esprime il chinare il capo davanti ad un generico ‘altro’; può tutt'al più costituire un buon punto di partenza, può definire un linguaggio comune e condiviso.
Ammirando gli oggetti che la scuola mi pone come traguardo di conoscenza, imparo a non concludermi in me stesso; compatendo un individuo diverso da me, imparo a prendermi cura. Due ‘competenze esistenziali’ che mi sembrano piuttosto fondamentali.
Ma il sublime sbigottisce.
Il sublime ascia senza fiato. Inquieta e perturba, appunto.
Se giocando con il bello noi stiamo accompagnando gli studenti tenendoli per mano e indicando loro un punto lontano, quando distilliamo il sublime li abbandoniamo per un breve attimo (ché il sublime va sorseggiato, non ingollato). Li lasciamo da soli, per un breve attimo, a provare un’emozione troppo intensa perché se ne possano fare carico individualmente; ed infatti torniamo subito da loro.
Ricordi quanto scrivevo ieri a proposito della cadenza d’inganno? È ancora il medesimo concetto.
In questa dinamica dell’individuo (che è cognizione ed emozione) risiede la radice del verbo ‘subire’, che abbiamo pescato nelle parole di Chiaromonte.
Prima ho affermato che il valore del sublime è intrinseco alla didattica.
Oggi voglio dimostrartelo.
Sempre proponendoti esempi disciplinari, ma anche (non è forse oggi il giorno delle Cosmografie?) facendo riferimento ad un titolo, la cui lettura ti consiglio davvero in queste concitate prime fasi dell’anno scolastico.
(ve ne sono forse alcune di tranquille??!)
Nella descrizione del volumetto troverai anche un breve vademecum per essere veri maestri.
Se ti interessa, puoi seguirmi nelle prossime righe…
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